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Sergio Rossi

Sergio Rossi

INTERVISTA AL PROFESSORE ED ECONOMISTA

SERGIO ROSSI

“Il processo di integrazione e di allargamento dell’Unione europea andava seguito da vicino dalla politica svizzera sul piano federale, coinvolgendo maggiormente anche i Cantoni svizzeri e l’intera popolazione.”

 

 

Sono trascorsi oltre cinque mesi dall’abbandono della soglia minima di cambio franco svizzero/euro. Quali scenari si stanno delineando concretamente per l’economia ticinese e nello specifico per il settore delle spedizioni internazionali in Svizzera, alla luce delle fluttuazioni dei tassi di cambio e delle prospettive per l’economia mondiale? Quali evoluzioni ipotizza per il prossimo futuro?

A breve e medio termine l’economia ticinese continuerà a soffrire più di quella svizzera per due motivi principali. Da un lato, la maggiore disoccupazione e la minore capacità di acquisto della popolazione nel Ticino – dove i salari sono spesso notevolmente inferiori a quelli versati in altre regioni svizzere – non permettono di avere una crescita economica sostenuta dai consumi come avviene nel resto del Paese. Lo stato problematico delle finanze pubbliche ticinesi è al tempo stesso una causa e una conseguenza di questa situazione preoccupante. Dall’altro lato, i mercati di esportazione per le imprese ticinesi sono situati prevalentemente nelle nazioni limitrofe alla Svizzera, soprattutto in Italia, dove la crisi della zona euro continua a farsi sentire negativamente. Le esportazioni elvetiche in generale sono più diversificate geograficamente di quanto lo siano quelle ticinesi, dato che la Svizzera esporta dei prodotti in America del Nord, in Cina e negli altri Paesi emergenti più di quanto faccia il Ticino in termini percentuali rispetto al totale delle proprie esportazioni. Il rafforzamento tendenziale del tasso di cambio del franco rispetto all’euro – che è un fenomeno durevole – non rappresenta dunque il problema principale per l’economia ticinese, ma ne accentua, evidenziandole, le debolezze strutturali rispetto al resto del Paese. Il problema è complesso in quanto si tratta di una serie di difficoltà sistemiche interconnesse, che si sono sviluppate nell’arco dell’ultimo ventennio, durante il quale sia la mondializzazione economica sia la globalizzazione finanziaria hanno messo brutalmente a confronto delle realtà geo-politiche e socio-economiche molto diverse tra loro da molteplici punti di vista, cogliendo impreparati numerosi portatori di interesse nel Ticino. Le aziende di spedizioni internazionali in Svizzera dovranno dunque prepararsi agli effetti negativi indotti dalla crisi nella zona euro, cercando di trarre vantaggio dai flussi del commercio internazionale che coinvolgono dei Paesi non europei nei quali la crescita economica è maggiore che in Europa. Il Vecchio continente è infatti alle prese anche con un invecchiamento demografico che rallenta le transazioni internazionali a vantaggio dei servizi domestici di ogni tipo e principalmente nel campo socio-sanitario.

Attualmente stiamo assistendo ad un andamento altalenante del prezzo del petrolio ed al rafforzamento del dollaro. In che modo questi fattori potrebbero condizionare il settore dei trasporti internazionali?

La volatilità del prezzo del petrolio ha diverse cause, sia congiunturali sia strutturali. Tendenzialmente, si può ipotizzare che il prezzo del petrolio sarà un fattore di sostegno alla crescita economica, sia perché il suo ribasso induce maggiori consumi da parte delle famiglie che pagano meno diversi prodotti legati direttamente o indirettamente al petrolio, sia perché il suo rialzo favorisce gli investimenti nelle energie rinnovabili, contribuendo in questo modo alla crescita economica nel lungo periodo. Questi effetti sono però distribuiti diversamente nel tempo e nello spazio: i consumi reagiscono prima degli investimenti al mutato prezzo del petrolio e una volatilità eccessiva di questa ultima variabile potrebbe scoraggiare sia le famiglie sia le imprese interessate, a maggior ragione se la normalizzazione della politica monetaria statunitense comporterà un apprezzamento tendenziale del tasso di cambio del dollaro americano nei confronti delle altre principali monete, in particolare rispetto all’euro. In tal caso, i consumi statunitensi potrebbero aumentare notevolmente, con degli effetti positivi anche sulle esportazioni svizzere e perciò sul volume e sulla frequenza dei trasporti internazionali attraverso il nostro Paese. Dato che il prezzo del petrolio è generalmente negoziato e spesso pagato in dollari statunitensi, l’apprezzamento del tasso di cambio di questa moneta rincarerà tuttavia le importazioni di petrolio nei Paesi della zona euro, la cui economia potrebbe dunque subire le conseguenze negative del rincaro dei prezzi al consumo, sui quali è possibile che influiscano anche le maggiori aspettative di inflazione a seguito della politica monetaria di carattere espansivo attuata dalla Banca centrale europea (BCE).

Nella zona euro ci si attende una ripresa dell’economia grazie anche agli effetti dell’allentamento monetario della BCE. Lei ritiene che all’estero si possa arrivare anche ad un aumento dei prezzi dei servizi, per esempio dei trasporti, precipitati ormai a livelli minimi, mai come in questo periodo? 

La politica monetaria ultra-espansiva della Banca centrale europea è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per sostenere le attività economiche nella zona euro in crisi. Se questa politica monetaria indurrà le banche della zona euro a concedere maggiori crediti alle piccole e medie imprese in quella zona, ciò potrebbe creare delle aspettative di inflazione tali da spingere al rialzo i prezzi di numerosi beni e servizi. Nel campo dei trasporti, tuttavia, a seguito del calo del prezzo del petrolio ma soprattutto grazie al progresso tecnico, i costi seguono una tendenza al ribasso che potrà essere soltanto rallentata, ma non affatto interrotta, dall’allentamento monetario della BCE. Questa tendenza è ulteriormente rafforzata dall’entrata nel mercato di vari altri concorrenti che esercitano una pressione al ribasso anche sui prezzi dei trasporti pubblici, sia per le merci sia per le persone. Si tratterà di vedere se questa tendenza sarà controbilanciata dagli aumenti di prezzo dei servizi di trasporto necessari per consentire alle imprese in questo campo di finanziare le loro spese di investimento per rinnovare, mo-dernizzandolo, il loro parco veicoli per i trasporti professionali.

Nell’avvenire la possibile e sperata “emissione zero” dei camion, tramite l’utilizzo di mezzi a ridottissimo o addirittura impatto ambientale nullo, potrebbe essere una possibilità per ridefinire il settore della mobilità, magari ripensando ad un potenziamento delle attuali infrastrutture stradali. L’utilizzo massiccio della ferrovia potrebbe essere messo in discussione da tale evoluzione tecnologica? 

Il trasferimento del traffico dalla strada alla ferrovia dipende soprattutto dai costi relativi a carico delle imprese e delle persone che hanno l’esigenza o il desiderio di utilizzare dei mezzi di trasporto, sia per gli impegni professionali sia per il tempo libero. L’evoluzione tecnologica nel campo dei trasporti stradali e a favore dell’ambiente ha un costo notevole per le attività di ricerca e sviluppo, che ricade giustamente sugli utenti delle infrastrutture stradali, i quali rischiano di dover sopportare anche i disagi generati dal congestionamento del traffico causato da un maggior numero di mezzi pesanti in circolazione a impatto ambientale nullo o notevolmente ridotto. Si tratta dunque di un circolo vizioso, dato che la tecnologia è apparentemente favorevole all’ambiente e agli utenti delle infrastrutture stradali, ma nel lungo periodo si rivela controproducente in quanto aumenta il traffico, dunque gli imbottigliamenti e l’inquinamento ambientale. Ciononostante, dato il carattere non sempre previsibile degli incolonnamenti e soprattutto considerando che i danni all’ambiente si manifestano soltanto a lungo termine, l’utilizzo della ferrovia è destinato a restare poco concorrenziale per una parte importante degli attori della mobilità stradale. Le limitate capacità di espansione del traffico ferroviario, l’incertezza politica e i tempi lunghi per attuare questa espansione, e la necessità di combinare diverse modalità di trasporto delle merci dal produttore al loro acquirente finale rappresentano degli svantaggi evidenti della ferrovia rispetto alla strada.

La Germania ha di recente imposto dei salari minimi per il settore dei trasporti, la Spagna sta adottando una nuova legge sull’autotrasporto estero contro la concorrenza sleale e il dumping sociale degli autisti e in Francia si sta discutendo di attuare interventi mirati sullo stesso tema. Tenendo conto dei livelli salariali e dei prezzi elvetici, sarebbe una buona soluzione se anche la Svizzera intervenisse in modo simile?

Le autorità politiche svizzere devono intervenire per impedire che le misure adottate dagli Stati vicini al nostro Paese spingano diverse aziende di trasporto straniere a seguire percorsi alternativi, attraverso la Svizzera, nel tentativo di aggirare la legislazione vigente o di prossima attuazione in questi Stati. Questo intervento è a maggior ragione necessario in quanto diverse imprese di trasporto attive in Svizzera sono in difficoltà a seguito della crisi economica nella zona euro e potrebbero essere indotte a ridurre i prezzi dei servizi da loro offerti attraverso l’inasprimento delle condizioni di lavoro – come l’abbassamento dei livelli salariali o l’aumento dei ritmi di lavoro – e la riduzione degli standard di sicurezza per il personale e i mezzi di trasporto, prolungando anche pericolosamente la durata di utilizzo di camion ormai vetusti, inefficienti e anti-ecologici. La Confederazione deve quindi adottare rapidamente delle leggi a tutela del settore dei trasporti stradali, il cui potere deterrente sarà tanto maggiore quanto più elevate saranno le sanzioni previste per i trasgressori. I diversi portatori di interesse in Svizzera dovranno però vegliare, per fare in modo che queste leggi, come tutte le altre del resto, siano fatte rispettare con i dovuti controlli e le necessarie risorse umane. Se, invece, prevarrà l’approccio improntato alla autoregolamentazione dei mercati e alla riduzione della spesa pubblica, qualsiasi nuova misura legale resterà lettera morta e non si potrà evitare l’imbarbarimento dei trasporti internazionali che riguardano la Svizzera.

Le aziende di trasporto elvetiche sono sottoposte a una forte concorrenza da aziende estere, soprattutto dell’est Europa: queste ultime operano rispettando le normative dei Paesi comunitari, ma con costi decisamente più bassi rispetto alle nostre aziende (i costi per gli stipendi degli autisti svizzeri sono circa 3 volte maggiori rispetto a quelli est-europei); inoltre le tratte internazionali che interessano il nostro Paese sono spesso quasi interamente su territorio elvetico, senza alcun permesso o condizioni. Che futuro vede senza le dovute protezioni legislative per il nostro settore?

Se la Confederazione non interverrà per ristabilire un certo ordine in questo campo di attività, ci sarà un peggioramento notevole delle condizioni di lavoro e di sicurezza nei trasporti stradali, con dei costi al rialzo per l’intera società che peseranno anche sulle finanze pubbliche dei tre livelli di governo elvetici. I casi di dumping sociale saranno sempre più gravi e frequenti e le aziende svizzere di trasporto che oggi operano in maniera socialmente responsabile avranno ancora maggiori difficoltà a restare nel mercato senza venir meno alla loro responsabilità sociale e ambientale. Saremo dunque tutti perdenti in fin dei conti, anche se con gradi, modalità e tempistiche differenti.

Quali peculiarità possono essere considerate un elemento distintivo delle aziende svizzere di servizio tali da renderle competitive in Europa e nel mondo? Nel campo delle spedizioni internazionali, quali caratteristiche possono costituire un vantaggio per le nostre aziende?

Gli elementi caratteristici di queste aziende sono la qualità dei loro servizi e la loro affidabilità. Non è il prezzo a fare la differenza, ma la sicurezza di ottenere delle prestazioni ineccepibili da parte di aziende, soprattutto quelle di lungo corso, che contribuiscono a valorizzare la ‘svizzeritudine’ dei servizi offerti in questo Paese ad acquirenti situati nel mondo intero.

Qual è il valore aggiunto che un’azienda di servizi dovrebbe avere per ritenere che la sua posizione sul mercato sia al riparo dai problemi congiunturali? Ritiene che l’esperienza acquisita in quasi cento anni di storia, la presenza di personale dipendente in gran parte svizzero, la capacità di mezzi di trasporto acquistati senza leasing e l’offerta di una consulenza a 360 gradi sui servizi legati ai trasporti siano caratteristiche utili a definire un’azienda di trasporti, come potrebbe essere la Franzosini, ad alto valore aggiunto?

La solidità di una azienda, che garantisce la sua resilienza di fronte ai problemi congiunturali, è data dalle competenze dei propri collaboratori a tutti i livelli gerarchici. Se il personale è motivato, perché ha un ambiente di lavoro stimolante e rispettoso delle caratteristiche individuali di ciascun collaboratore, è portato a essere creativo e propositivo, visto che fa parte di una struttura che valorizza l’apporto di ogni individuo al processo di produzione collettivo. Le caratteristiche dell’azienda Franzosini contribuiscono a farne un’impresa solida e resiliente, a maggior ragione se accompagnate da processi di innovazione con la partecipazione dell’insieme dei portatori di interesse, dentro e fuori l’azienda, creando in tal modo lo spazio di sostegno necessario per garantire la durabi-lità dell’impresa considerando il bene comune.

Lei ritiene possibile che un domani si possa paventare l’ipotesi alquanto “fantasiosa” di istituire una libera circolazione delle merci tra Svizzera e Unione europea o con altri Paesi?

La libera circolazione delle merci potrebbe diventare realtà a seguito del Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti attualmente nella fase di negoziato tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Il governo svizzero e diverse associazioni di categoria hanno già manifestato il loro interesse per aderire – indirettamente – alla zona di libero scambio che si creerebbe con questo accordo transatlantico. Resta da sapere quali saranno le modalità di attuazione di questa zona, ma non si può escludere che si andrà in questa direzione entro la fine di questo decennio. In tal caso, ci sarà verosimilmente una diminuzione degli standard di sicurezza e di qualità sia per i prodotti sia per i servizi, anche nel campo dei trasporti, a maggior ragione in quanto gli Stati nazionali saranno in una posizione di debolezza nei confronti dei più grandi gruppi industriali sul piano globale. Questi ultimi potranno infatti adire un tribunale arbitrale che esula dalle giurisdizioni nazionali per proteggere i loro investimenti a discapito del benessere collettivo.

Sempre rimanendo nell’ipotetico, che cosa pensa al riguardo di un eventuale prelievo forzoso sui conti correnti, come tra l’altro già fatto in Italia con il governo Amato, per riequilibrare le finanze pubbliche di varie nazioni nell’Unione europea?

Si tratta di una misura grave, che non rispetta la democrazia e che non può risolvere i diversi problemi di ordine strutturale delle finanze pubbliche e della governanza economica nella zona euro. In realtà, si può immaginare che un tale provvedimento scateni una fuga dei depositi bancari verso quei Paesi, nella zona euro o nel resto del mondo, anzitutto in Svizzera, che rappresentano un porto sicuro dove lasciare i depositi bancari in attesa di tempi migliori. Lo scambio automatico di informazioni fiscali che entrerà in vigore nel 2017 potrebbe parzialmente influenzare questi movimenti internazionali di capitali, ma resta da vedere con che tempi, modalità e volumi effettivi. In ogni caso, i governi nazionali dovranno darsi da fare, a cominciare dalla Grecia, per raccogliere le imposte dovute dai loro contribuenti ed evitare che vi siano ancora molte possibilità di farla franca eludendo il fisco. Il ribilanciamento dei conti pubblici esige disciplina e rigore su entrambi i lati del bilancio statale, tanto per le entrate quanto per le uscite.

Per concludere con un argomento di vivo interesse per i Ticinesi, Le chiedo di tornare con il pensiero alla votazione del 9 febbraio 2014: qual è la Sua opinione sull’ipotesi di introdurre dei contingentamenti?

I contingentamenti sono contrari all’Accordo sulla libera circolazione delle persone e perciò non sono in alcun modo una soluzione ai problemi generati da questo accordo nel mercato del lavoro in Svizzera e in particolare nel Ticino. Anche se esistesse, per delirio di ipotesi, un ridotto margine di manovra sul piano giuridico per trovare la quadratura del cerchio in questo caso, l’Unione europea e i suoi Paesi membri non accetteranno mai che la Svizzera violi un principio fondamentale qual è la libera circolazione delle persone in Europa. Se siamo giunti a questa situazione tanto tesa quanto delicata, è anche a seguito del disinteresse della politica elvetica per le questioni economiche e istituzionali legate all’Unione europea, che non sono state affatto risolte con gli innumerevoli accordi bilaterali tra la Svizzera e questa Unione. Il processo di integrazione e di allargamento dell’Unione europea andava seguito da vicino dalla politica svizzera sul piano federale, coinvolgendo maggiormente anche i Cantoni svizzeri e l’intera popolazione. Ora i buoi sono fuori dalla stalla e nella loro fuga disordinata hanno ormai rovinato il terreno e distrutto il recinto entro cui tutti avrebbero potuto usufruire correttamente dei risultati del loro lavoro. Il futuro è perciò tutto da ricostruire, mostrando molta immaginazione e spirito di solidarietà, due caratteristiche che sono andate sempre più scemando durante l’ultimo ventennio in Europa e che sarà molto difficile a breve termine ritrovare in chiave pan-europea.

Biografia | Sergio Rossi

Sergio Rossi (1967) è professore ordinario all’Università di Friburgo (Svizzera), dove è titolare della Cattedra di macroeconomia ed economia monetaria, e ricercatore associato all’Istituto internazionale di politica economica presso la Laurentian University (Canada). Dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in economia politica (menzione “summa cum laude” e Premio Vigener 1997), ha lavorato per quattro anni presso la London School of Economics e la University College London, svolgendo diverse attività di ricerca che furono onorate da due distinzioni del Committee of Vice-Chancellors and Principals of the United Kingdom. È stato anche docente al Centro di studi bancari di Lugano (2000–2007) e professore invitato nelle Università di Bergamo, Chemnitz (Germania), Digione, Grenoble, Lugano e Venezia. I suoi interessi di ricerca sono rivolti all’analisi macroeconomica, con particolare attenzione alle questioni monetarie e finanziarie. È autore e curatore di una quindicina di libri presso importanti case editrici anglosassoni e ha pure pubblicato una quarantina di saggi su riviste scientifiche di rango internazionale nel campo dell’analisi economica, oltre a numerosi contributi in opere collettanee ed enciclopedie specializzate. È membro del Consiglio scientifico della rivista Economics and Finance Research e dell’International Journal of Monetary Economics and Finance. Interviene frequentemente nei media sulle questioni nazionali e internazionali nel campo economico–finanziario. Nel 2012 è stato inserito da L’Hebdo nelle 100 personalità più influenti della Svizzera romanda.

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